Nelle aule della corte d’assise di Venezia, si è svolta oggi la seconda udienza del processo a Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, la sua fidanzata
Se il drammatico omicidio di Giulia Cecchettin deve essere considerato uno dei casi di cronaca più drammatici e seguiti degli ultimi anni, inevitabilmente il processo a Filippo Turetta – ex fidanzato della studentessa promette di essere un evento giudiziario altrettanto clamoroso.
Oggi Turetta è comparso davanti ai giudici della Corte d’Assise di Venezia per la seconda udienza del processo. Un lunghissimo interrogatorio durato quasi sei ore e mezza, una vera propria udienza fiume nel corso della quale Turetta ha ammesso tutte le sue responsabilità, compresa la premeditazione del crimine.
Molti dettagli dell’omicidio erano già trapelati dopo i primi interrogatori quando Turetta, che stava cercando di fuggire all’estero dopo avere rapito e ucciso la ragazza, era stato arrestato, rimpatriato e rinchiuso un carcere, guardato a vista per il timore di atti autolesionistici. Ma sentire il racconto di Turetta con la conferma dalla sua viva voce di alcuni dettagli agghiaccianti, è stato uno degli aspetti più forti dell’udienza.
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All’interno dell’aula, oltre a cronisti e persone direttamente coinvolte nel caso anche Gino Cecchettin, il padre della vittima. Assente invece la sorella di Giulia, Elena, ha scelto di seguire l’udienza da lontano per ragioni di salute mentale.
Un racconto esauriente ma molto sofferto quello di Filippo Turetta che ha risposto alle poche domande in quello che è stato di fatto quasi un monologo di almeno sei ore. Turetta non ha mai guardato il padre della ragazza, raramente ha guardato il giudice o il banco del pubblico ministro: pochissime anche le parole scambiate con il suo avvocato.
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Una lunghissima confessione pronunciata con molte interruzioni, tenendo quasi sempre gli occhi bassi, sforzandosi di non pronunciare alcune parole: non cita mai direttamente Giulia e nonostante le sue ammissioni siano chiarissime solo una volta dice la parola ‘uccidere’.
Turetta ha dichiarato di aver progettato l’omicidio con premeditazione, iniziando a preparare il piano già il 7 novembre 2023. E dunque quattro giorni prima del delitto avvenuto l’11 novembre. In aula, con un atteggiamento di apparente confusione e nervosismo, ha ripetuto più volte di “sentirsi in colpa” ammettendo di aver ipotizzato anche di “rapire la ragazza”, con la quale continuava a vedersi nonostante lei lo avesse lasciato da qualche tempo.
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Un piano, per sua stessa ammissione, motivato da un desiderio ossessivo di “stare ancora con lei”. Le sue dichiarazioni sono state accompagnate da momenti di esitazione e lacrime: soprattutto quando ha cercato di spiegare le sue azioni alla corte, parlando di una relazione terminata che lui, tuttavia, non riusciva ad accettare.
Parte delle prove che incastrano Turetta derivano da una lista trovata nel suo cellulare. Una lista di cose da fare e di materiale da acquistare: coltelli, nastro adesivo, grandi sacchi di plastica e altri strumenti necessari al compimento del crimine. L’imputato ha ammesso che il 7 novembre aveva iniziato a scrivere appunti e a pianificare meticolosamente ogni fase, prelevando anche soldi in contanti per garantirsi le risorse e tentare la fuga.
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Filippo Turetta ha anche confermato quello che era emerso nel corso della fase istruttoria dopo la sua cattura. E dunque di avere cercato su Internet metodi per eludere la sorveglianza delle autorità e luoghi ‘sicuri’ da raggiungere.
Turetta ha detto di aver acquistato i coltelli per “sentirsi più sicuro” ma di non ricordare chiaramente la ragione per cui aveva comprato un badile, ipotizzando solo in un secondo momento che potesse essere stato destinato a “occultare il corpo” della vittima.
Durante l’interrogatorio, Turetta ha anche ammesso che le versioni fornite inizialmente agli inquirenti erano false. Ad esempio ha confutato – definendole menzogne – le sue prime risposte agli inquirenti: quando aveva detto di aver comprato il nastro adesivo per “appendere manifesti” e i coltelli per “pensare al suicidio”.
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Pur nella confusione di un racconto estremamente sofferto, Turetta ha confermato di avere immaginato dal primo momento quello che avrebbe dovuto fare: “Volevo rapirla”… confermando poi il tragico epilogo del piano… “in un secondo momento avrei pensato a cosa fare, per… farle del male… per ucciderla” ha detto Turetta con un filo di voce dopo moltissima esitazione.
Una dichiarazione con la quale Turetta ha definitivamente convalidato quella che è l’ipotesi di reato più grave: omicidio premeditato, che potrebbe costargli una una condanna all’ergastolo.
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Nella sua dichiarazione odierna, ha confermato che gli oggetti servivano esclusivamente per mettere in atto il suo piano, rendendo così ancora più evidente il livello di premeditazione e la sua volontà di portare a termine l’omicidio.
La ricostruzione dei tragici eventi dell’11 novembre fornita in aula da Turetta, ha chiarito alcuni aspetti sugli ultimi momenti di vita di Giulia. Turetta ha spiegato come l’abbia legata in auto, tentando inizialmente di immobilizzarla sotto la minaccia di uno dei coltelli. In seguito, ha descritto come la ragazza sia riuscita a scappare dall’auto, urlando, nel disperato tentativo di trovare aiuto. Tuttavia, Turetta l’ha raggiunta e ha cominciato continuato a colpirla.
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Poi in qualche modo ha cercato di giustificare le sue azioni dicendo che intendeva colpirla “al collo per non farla soffrire”. Ma il racconto, costellato di pause e contraddizioni, ha reso evidente l’estrema violenza e l’assoluta mancanza di pietà durante l’aggressione. In tutto Giulia secondo il referto dell’esame autoptico sarebbe stata colpita ben 75 volte… con diversi colpi letali, anche dopo che era probabilmente già morta.
Uno dei momenti più difficili della testimonianza è stato il ricordo dei gesti finali dell’omicidio, quando Turetta ha tentato di soffocare le urla di Giulia per impedire che qualcuno li sentisse. Durante la testimonianza, l’imputato ha parlato anche del momento in cui ha strappato il telefono dalle mani della ragazza per evitare che chiamasse aiuto, per poi gettarlo dal finestrino dell’auto, assieme a uno dei coltelli.
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Telefonino e coltello sarebbero finiti in un canale lungo la strada secondaria sulla quale si era isolato. I dettagli emersi in aula hanno reso ancora più crudo e doloroso il quadro della violenza subita da Giulia.
Sebbene abbia ammesso la propria colpa, Turetta ha anche mostrato una certa reticenza a chiedere scusa in modo esplicito, dichiarando che… “sarebbe ridicolo farlo, le scuse creerebbero solo ulteriore dolore”.
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Turetta ha anche sostenuto di non essere interessato a un futuro per sé stesso, confermando che l’unica cosa che conta per lui ora è affrontare le conseguenze delle sue azioni e “espiare” la sua colpa. La dichiarazione è parsa ambivalente, lasciando molti presenti dubbiosi sulla sincerità del suo rimorso.
Durante l’udienza, Turetta è scoppiato più volte in lacrime, manifestando un apparente pentimento. Ha ammesso di aver provato rabbia e risentimento per Giulia, spiegando che la sua sofferenza per la fine della relazione lo aveva portato a desiderare un “destino comune” per entrambi. Tuttavia, il tono distaccato e le numerose contraddizioni hanno contribuito a rendere incerta la percezione del suo pentimento.
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L’avvocato di Elena Cecchettin, Nicodemo Gentile, ha espresso forti dubbi sulla sincerità dell’imputato: “Ha parlato e raccontato molto ma tutto questo non cambia quelle che erano le mie prime impressioni. Si è trattato di un omicidio premeditato e crudele, estremamente violento, compiuto da una persona che ha ragionato in modo feroce e senza alcuna empatia nei confronti della vittima”.
Con la seconda udienza, il processo per l’omicidio di Giulia Cecchettin entra ora in una fase cruciale. L’udienza prevista per il 28 ottobre è stata annullata, poiché l’interrogatorio di Turetta si è concluso con largo anticipo. Si prevede che il dibattito tra le parti si terrà il 25 e 26 novembre, in preparazione della sentenza fissata per il 3 dicembre.
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