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Ergastolo per Filippo Turetta: la richiesta della Procura nel processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin

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Stefano Benzi

È attesa per il 3 dicembre la sentenza al processo di primo grado a carico di Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio della ex fidanzata Giulia Cecchettin, la procura ha richiesto l’ergastolo

È senza dubbio uno dei processi mediaticamente più attesi dell’anno. E fa il paio con quello a carico di Alessandro Impagnatiello, condannato ieri all’ergastolo per il brutale omicidio della fidanzata, Giulia Tramontano, incinta al settimo mese di gravidanza.

Filippo Turetta, ree confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin – Credits ANSA (MIlano.CityRumors.it)

La richiesta della procura di Venezia per Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin avvenuto l’11 novembre 2023, è di carcere a vita.

Ergastolo per Filippo Turetta

La giornata di ieri è stata particolarmente significativa con la requisitoria del pubblico ministero Andrea Petroni che si è conclusa con la richiesta di ergastolo. Confermate tutte le accuse: tranne una, l’aggravante per i futili motivi. Il PM ha invece sottolineato tutti gli altri aspetti dei capi d’accusa nei confronti di Turetta. E dunque premeditazione, crudeltà e stalking.

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La narrazione del PM si è focalizzata su due principali aspetti: la ricostruzione cronologica dei fatti e l’analisi delle prove che dimostrano la pianificazione del delitto da parte di Turetta, per altro confermata da alcune dichiarazioni del reo confesso nel corso del processo.

La lista di Filippo Turetta

Secondo il racconto di Turetta il 7 novembre 2023, e dunque quattro giorni prima del delitto, il ragazzo aveva iniziato a stilare una “lista delle cose” necessarie per portare a termine il suo piano. Una lista che comprendeva l’acquisto di scotch per legare la ex fidanzata, un calzino per tapparle la bocca, alcuni sacchi neri per occultarne il corpo e diversi coltelli per perfezionare la sua aggressione.

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Inoltre, Turetta aveva effettuato ricerche su luoghi isolati in cui nascondere un cadavere e aveva studiato mappe per pianificare una fuga. Tutti elementi confermati sia durante gli interrogatori che nel corso della deposizione fiume che Turetta ha tenuto in tribunale. Oltre alle testimonianze raccolte dagli investigatori e ad alcuni video delle telecamere di sorveglianza. Tutto ha contribuito a costituire la base per dimostrare la premeditazione.

Giulia e il rapporto tossico con Turetta

La storia di Giulia Cecchettin è tragicamente segnata da un’ossessione morbosa da parte di Turetta, che non accettava la fine della loro relazione. Dalle testimonianze emerse durante il processo, è stato ricostruito un quadro fatto di minacce, a volte sottili, altre eclatanti, oltre a comportamenti manipolatori in una escalation di violenza psicologica che aveva portato Giulia a temere per la propria stessa vita.

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In aula sono stati letti numerosi messaggi inviati da Turetta alla ex fidanzata nei quali alternava suppliche disperate a minacce velate, mentre Giulia confidava alle amiche di ‘avere paura di Filippo’ e di voler chiudere definitivamente ogni contatto con lui. La ragazza, secondo quanto riferito dagli avvocati della famiglia Cecchettin, viveva un incubo quotidiano, un terrore che culminerà nel tragico epilogo dell’11 novembre.

Filippo Turetta, l’esecuzione del delitto

La sera dell’omicidio, Filippo Turetta ha agito con una ferocia impressionante, infliggendo a Giulia ben 75 coltellate. L’azione è stata descritta dal PM come una esplosione di violenza, testimoniata anche dai video delle telecamere di sicurezza che hanno ripreso alcune fasi successive al delitto, quando Giulia aveva disperatamente cercato la fuga. Dopo aver ucciso Giulia, Turetta ha cercato di nascondere il corpo in un anfratto vicino al lago di Barcis, in Friuli, utilizzando i sacchi neri acquistati giorni prima.

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Le indagini hanno permesso di recuperare il telefono e il computer della vittima, che Turetta aveva tentato di distruggere per eliminare prove compromettenti. Tuttavia, l’analisi dei dispositivi ha fornito ulteriori dettagli sulla pianificazione dell’omicidio, dimostrando come l’imputato avesse studiato ogni mossa per evitare di essere scoperto.

Il PM Andrea Petroni, in aula della Corte di Assise – Credits ANSA (MIlano.CityRumors.it)

Le richieste della famiglia Cecchettin

Durante l’udienza, gli avvocati di parte civile hanno avanzato una richiesta di risarcimento danni di 2,15 milioni di euro per la famiglia Cecchettin, una cifra simbolica per compensare il dolore immenso causato dalla perdita di Giulia. Gli avvocati Stefano Tigani e Nicodemo Gentile hanno ribadito l’importanza di trasformare Giulia in un simbolo contro la violenza di genere, evidenziando la crudeltà del crimine e il coraggio della famiglia nel chiedere giustizia.

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Il padre di Giulia era assente. Gino Cecchettin era a Roma per presenziare a un incontro pubblico alla Camera dei Deputati nell’ambito di una manifestazione indetta nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Le parole di Gino Cecchettin

Cecchettin ha seguito il processo a distanza, telefonando di frequente alla moglie e alla sorella di Giulia… Il suo messaggio ai legislatori è chiaro: “Ormai tutti i giorni abbiamo a che fare con femminicidi ed episodi di violenza, dobbiamo continuare a comunicare che la vita è sacra e va preservata e che non bisogna interferire nella vita altrui”.

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Gli altri familiari di Giulia presenti in aula hanno seguito in silenzio e compostezza la requisitoria. Turetta, scortato in tribunale e riaccompagnato in cella subito dopo, è rimasto in silenzio e con gli occhi bassi per quasi tutta la durata dell’udienza. Anche quando il PM nel corso della sua requisitoria ha parlato del valore rieducativo delle sentenze…. “anche quando si parla di ergastolo, c’è sempre un percorso di riabilitazione….” ha detto Andrea Petroni. Lasciando intendere che secondo le normative dopo 26 anni di reclusione Turetta usufruirebbe di un percorso per tornare gradualmente in libertà.

Filippo Turetta: rieducazione e riabilitazione

La rieducazione è un principio fondamentale del sistema penale italiano, basato sull’idea che la pena non debba limitarsi a una funzione punitiva, ma puntare anche al recupero del condannato. Un principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione, che sottolinea come la pena debba mirare alla rieducazione del reo, favorendo un percorso di consapevolezza e cambiamento interiore.

Nel caso dell’ergastolo, spesso percepito come una condanna perpetua e immutabile, il nostro ordinamento riconosce che esiste una possibilità di reinserimento.

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La Corte Costituzionale ha chiarito che anche per chi sconta questa pena è prevista la possibilità di accedere a benefici penitenziari dopo un periodo minimo di detenzione, generalmente fissato a 26 anni. Tali benefici, tra cui la liberazione anticipata o permessi premio, sono subordinati alla dimostrazione di un effettivo percorso di rieducazione e alla valutazione del rischio di recidiva.

Un percorso personale

La rieducazione si concretizza attraverso programmi specifici che mirano a far riflettere il detenuto sulla gravità del reato commesso. Si tratta di percorsi personalizzati, che includono attività educative, lavorative e terapeutiche, con l’obiettivo di promuovere una comprensione del disvalore delle proprie azioni e la cosiddetta “resipiscenza”. Questo processo può portare il condannato a interiorizzare l’importanza delle regole sociali, preparando il terreno per un possibile reinserimento nella società.

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Nel caso specifico di Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, il pubblico ministero ha sottolineato che, nonostante la richiesta dell’ergastolo, l’ordinamento prevede anche per lui la possibilità di accedere alla rieducazione. La giovane età dell’imputato è stata menzionata come un elemento rilevante in questo contesto, poiché potrebbe rendere più efficace un percorso di recupero, anche se condotto in condizioni di detenzione.

Líavvocato difesore di Filippo Turetta, Giovanni Caruso – Credits ANSA (MIlano.CityRumors.it)

“Nulla è garantito…”

Va ricordato, tuttavia, che il successo di questi programmi non è garantito. In molti casi, i detenuti escono dal carcere senza aver raggiunto un reale cambiamento interiore. Per garantire risultati migliori, è essenziale predisporre interventi mirati e specifici, adattati alle esigenze del singolo individuo e al contesto del reato commesso.

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Infine, è opportuno distinguere la rieducazione dai percorsi di giustizia riparativa, un’altra possibilità prevista dal nostro ordinamento. La giustizia riparativa prevede un coinvolgimento attivo del condannato in programmi volti a riparare, almeno simbolicamente, il danno causato, e può essere considerata un elemento aggiuntivo che contribuisce al processo di rieducazione. In determinati casi, il successo di tali programmi può portare a una rivalutazione della pena in appello, con eventuali attenuazioni delle aggravanti contestate.

Le strategie della difesa di Turetta

La difesa di Filippo Turetta, rappresentata dall’avvocato Giovanni Caruso, potrebbe tentare di puntare proprio su questo percorso di “giustizia riparativa”, un percorso che, pur non prevedendo uno sconto di pena, mira a dimostrare il pentimento dell’imputato. Tuttavia, le prove raccolte contro Turetta e la sua confessione rendono improbabile una riduzione della pena richiesta dalla Procura. L’ergastolo sembra scontato.

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Il PM Petroni ha più volte sottolineato come l’imputato abbia cercato di eludere le proprie responsabilità, alternando silenzi a dichiarazioni di comodo durante gli interrogatori. Un atteggiamento, unito alla brutalità del gesto, rende inevitabile la richiesta della pena massima. Sottolineato anche il fatto che la piena confessione c’è stata, ma è stata tardiva.

Il processo a Filippo Turetta: in attesa della sentenza

La sentenza finale è attesa per il 3 dicembre, quando la Corte d’Assise di Venezia deciderà sul destino di Filippo Turetta. La prossima udienza, prevista per oggi, darà spazio alla difesa: ci si attende un intervento di circa due ore per aprire lo spiraglio a un improbabile sentenza più mite. Ulteriori repliche saranno ascoltate prima del verdetto.

Stefano Benzi

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