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Chi è il comandante libico Almasri: dalla permanenza a Torino alle risposte in aula di Piantedosi

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Stefano Benzi

La ricostruzione di tutta la vicenda del comandante libico Almasri, dal blitz della Digos a Torino al rimpatrio in Libia, solleva interrogativi sulla gestione del caso

Tiene banco la vicenda del comandante Almasri, nome pronunciato con terrore più che con rispetto da chiunque avesse un conto aperto con il regime di Tripoli.

Il generale libico Njeem Osama Almasri Habish atterra raggiante a Tripoli – Credits ANSA (qnm)

Un uomo con accuse pesantissime che lo inseguono a ogni trasferimento e che in Italia rischiavano di costargli carissime, tra un arresto e un rimpatrio improvviso che sta suscitando moltissime polemiche e che ha costretto il ministro Piantedosi a rispondere in Parlamento.

L’arrivo di Almasri in Italia

La permanenza a Torino del comandante della polizia giudiziaria libica Almasri, il cui nome completo è Najeem Osema Almasri Habish, dura poco meno di 90 ore, dal 18 al 21 gennaio 2025. Il generale, su cui pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, è al centro di una vicenda che si snoda tra l’arresto in un hotel torinese, la mancata convalida del fermoe il rimpatrio in Libia su un volo di Stato. La sequenza degli eventi e le risposte istituzionali suscitano un acceso dibattito politico e interrogativi sull’applicazione delle procedure internazionali.

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Sabato 18 gennaio, Almasri viene fermato per un controllo stradale a Torino. Domenica 19, è arrestato dalla Digos. Lunedì 20, il ministero della Giustizia non convalida l’arresto, e martedì 21 il generale lascia l’Italia a bordo di un Falcon 900. Una vera e propria “operazione lampo” che lascia spazio a critiche e accuse di mancata trasparenza da parte del governo italiano.

Il fermo a Torino: dalla partita della Juventus all’arresto

Il generale libico Almasri arriva a Torino il sabato 18 gennaio per assistere alla partita Juventus-Milan all’Allianz Stadium. La Juventus è una delle sue debolezze: è un tifosissimo, un grande appassionato di calcio. E alle partite che contano non manca mai.

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Almasri viaggia su un’auto noleggiata in Germania, accompagnato da tre connazionali residenti in Francia. Dopo la partita, il gruppo si registra all’Holiday Inn di piazza Massaua, dove paga in anticipo le stanze prenotate online. Nella stessa serata, Almasri è localizzato grazie a un controllo stradale in via Cigna. E qui la polizia lo incrocia con la banca dati. Perché la Corte penale internazionale aveva emesso un mandato di arresto su Almasri poche ore prima, trasmettendo la richiesta non solo alle autorità italiane ma a tutti i paesi che fanno parte della corte. Nonostante la comunicazione ufficiale, il provvedimento non viene immediatamente eseguito. Gli agenti segnalano il documento, prendono nota. E inoltrano ai superiori.

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Nelle prime ore di domenica 19 gennaio, la Digos entra nell’hotel torinese per arrestare Almasri. L’arresto avviene tra la sorpresa degli ospiti dell’albergo ma senza incidenti. Il generale è trasferito nel carcere delle Vallette, ma la richiesta di convalida inviata alla Corte d’Appello di Roma resta sospesa.

Il ruolo della Corte penale internazionale e i ritardi procedurali

La legge italiana n. 237/2012 prevede che il ministero della Giustizia collabori con la Corte penale internazionale per l’arresto e la consegna di persone ricercate. Tuttavia, in questo caso, il ministro Carlo Nordio non trasmette tempestivamente le informazioni necessarie per convalidare l’arresto. La Procura generale, incaricata di inoltrare la richiesta alla Corte d’Appello, segnala la mancanza di una risposta ufficiale da parte del ministero.

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La Corte penale internazionale, tramite un comunicato emesso il 22 gennaio, sottolinea di aver rispettato le procedure previste, informando le autorità italiane con anticipo. La mancata convalida dell’arresto viene attribuita a un “cavillo procedurale” che consente al generale libico di evitare la consegna all’Aja. Nel frattempo, Almasri rimane detenuto lo stretto necessario mentre la situazione evolve rapidamente.

Il generale Almasri in una foto d’archivio – Credits ANSA (qnm)

Almasri, il rimpatrio: il Falcon 900 e la liberazione

Martedì 21 gennaio, un Falcon 900 della Presidenza del Consiglio, fornito dai servizi segreti, un volo organizzato rapidissimamente come per quello che aveva rimpatriato dall’Iran Cecilia Sala, parte da Roma e arriva a Torino per prelevare Almasri. In giornata, la Corte d’Appello ordina la scarcerazione del generale, accogliendo la richiesta del Procuratore generale e della difesa, che contestano l’arresto per irregolarità formali. Alle 18.45, il Falcon 900 decolla con a bordo il generale per atterrare due ore dopo a Tripoli, dove Almasri viene accolto come un eroe.

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Il rimpatrio avviene in tempi record, suscitando critiche dalle opposizioni ma anche alcuni interrogativi sulla gestione del caso. Gli altri tre connazionali che accompagnavano Almasri vengono anch’essi espulsi con un decreto della Questura di Torino.

Le polemiche politiche: opposizioni all’attacco

L’operazione di rimpatrio solleva immediate critiche politiche. Le opposizioni accusano il governo di aver favorito il rilascio di un criminale di guerra, ignorando gli obblighi derivanti dalla collaborazione con la Corte penale internazionale. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, chiede spiegazioni dirette alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, accusandola di incoerenza rispetto alle dichiarazioni sulla lotta ai trafficanti di esseri umani.

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Anche altri esponenti dell’opposizione, come Giuseppe De Cristofaro (Avs) e Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), attaccano il governo. Fratoianni definisce l’episodio una “vergogna di Stato”, sottolineando come il governo italiano abbia facilitato il ritorno in patria di un individuo accusato di crimini contro l’umanità. Angelo Bonelli (Verdi) aggiunge che la gestione del caso è stata un errore gravissimo, che ha danneggiato la credibilità dell’Italia a livello internazionale.

Le risposte in aula del ministro Piantedosi

Oggi a intervenire in Senato per rispondere alle domande dell’opposizione tocca al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Nella sua dichiarazione, Piantedosi giustifica il rimpatrio del generale Almasri citando “urgenti ragioni di sicurezza”. Secondo il ministro non si parla di scarcerazione ma di espulsione: “Il comandante libico è stato espulso in quanto soggetto pericoloso per l’ordine pubblico italiano. La decisione di rimpatriarlo è stata presa nell’interesse della sicurezza nazionale, e siamo pronti a entrare nel dettaglio in una prossima informativa parlamentare quando i tempi e i modi della questione giudiziaria potranno essere divulgati”.

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Piantedosi sottolinea che il decreto di espulsione firmato dal ministero dell’Interno è stato emesso in conformità con le leggi italiane e non ha avuto l’intento di eludere gli obblighi internazionali. Tuttavia, il ministro ha deciso di non rispondere alle critiche sulla mancata collaborazione con la Corte penale internazionale. Una questione dunque che resta aperta e al centro del dibattito politico, con richieste di dimissioni rivolte al ministro della Giustizia Carlo Nordio per la gestione dell’intera vicenda.

Il ministro Matteo Piantedosi nel corso del question time al Senato – Credits ANSA (qnm)

Almasri, un caso aperto

Il caso Almasri rappresenta una delle vicende più controverse del panorama politico italiano recente, con risvolti giudiziari, diplomatici e di sicurezza nazionale. La rapidità con cui il generale è stato rimpatriato e le presunte irregolarità procedurali sollevano interrogativi sull’aderenza dell’Italia agli obblighi internazionali e mettono il governo sotto pressione in attesa di risposte chiare e trasparenti. Senza dimenticare il fastidio con cui la corte penale internazionale attende un chiarimento sulla mancata consegna di un uomo per il quale le accuse di omicidi e torture sono un peso di enorme rilievo.

Stefano Benzi

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