La Cassazione conferma l’ergastolo per Olindo Romano e Rosa Bazzi ritenuti colpevoli per la strage di Erba, respinto il ricorso per la revisione del processo
La Corte di Cassazione mette la parola fine, almeno secondo la giustizia italiana, al lungo iter processuale legato alla strage di Erba dell’11 dicembre 2006.

Il ricorso presentato dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, già condannati all’ergastolo, viene dichiarato inammissibile.
Strage di Erba, niente revisione
Si tratta di una decisione che conferma quanto già espresso dalla Corte d’Appello di Brescia nel luglio 2024, quando era stata respinta una richiesta di riaprire il processo con nuove prove. Nessuna delle istanze presentate dalla difesa ha dunque convinto i giudici della Suprema Corte.
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Secondo quanto emerge dalla sentenza, i motivi addotti dai difensori dei due coniugi non soddisfano i requisiti giuridici previsti per la revisione. In assenza di elementi ritenuti realmente nuovi o idonei a sovvertire il giudizio, l’ergastolo inflitto a marito e moglie resta così confermato in via definitiva, con l’unica ipotesi residua rappresentata da un possibile ulteriore ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo che al momento i difensori di Rosa e Olindo non hanno ancora pianificato ma non avrebbero nemmeno escluso.
Strage Erba: il ricorso in Cassazione e la bocciatura definitiva
“Non ci sarà nessun nuovo processo per la strage di Erba”. Le parole che circolano subito dopo la lettura del dispositivo della Cassazione hanno il peso di una sentenza definitiva. I giudici della Suprema Corte non accolgono il ricorso e, anzi, ribadiscono la correttezza della decisione della Corte d’Appello: l’istanza di revisione è priva di basi fondate.
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“Le nuove prove sono mere e astratte congetture – ha sostenuto il procuratore generale Giulio Monferini – e non possono in alcun modo smontare i pilastri delle motivazioni che hanno portato alla condanna di Rosa e Olindo”.
Tra quei pilastri: le prime confessioni dei due imputati, poi ritrattate in un secondo momento, ma anche le tracce ematiche e la testimonianza chiave di Mario Frigerio, l’unica persona sopravvissuta al tragico massacro.

Le istanze per la revisione: un tentativo su più fronti
La richiesta di revisione era arrivata alla Corte d’Appello di Brescia sulla base di tre istanze diverse, presentate quasi contemporaneamente. Una era firmata dal sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, un’altra dal tutore legale dei due detenuti, la terza dal collegio difensivo composto dagli avvocati Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux.
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Le richieste avanzate spaziavano dall’audizione di nuovi testimoni alla rivalutazione delle prove scientifiche, fino alla messa in discussione dell’attendibilità del testimone principale, Mario Frigerio. La difesa puntava anche sull’ipotesi di piste alternative, come quella di una faida legata allo spaccio di droga, e sulla presenza di possibili manipolazioni o suggestioni indotte nei momenti chiave dell’indagine.
Strage Erba, i giudici: “Nessuna prova nuova, nessun errore”
La Corte d’Appello di Brescia aveva già stabilito che nessuna delle prove portate dalla difesa potesse definirsi realmente nuova o idonea a rimettere in discussione la colpevolezza dei due condannati.
“La richiesta è inammissibile sotto il duplice profilo della mancanza di novità e dell’inidoneità a ribaltare il giudizio di penale responsabilità delle prove di cui è chiesta l’ammissione”. E ancora: “Non esiste alcun complotto, nessuna falsificazione delle prove, nessun vizio nei gradi precedenti di giudizio”.
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Particolarmente netta la posizione della Corte anche sull’ipotesi di una regia alternativa: “Il presunto movente legato a un regolamento di conti nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti non ha trovato alcun riscontro da parte della Guardia di Finanza”. Nessuna delle testimonianze raccolte dai media o dai legali è stata ritenuta sufficiente a minare il quadro accusatorio. Le interviste giornalistiche per quanto attendibili non possono avere caratteristica di prove.
La testimonianza di Mario Frigerio: “Per me è stato Olindo”
Centrale, nella conferma della condanna, resta la figura di Mario Frigerio, sopravvissuto all’attacco in cui persero la vita la moglie Valeria Cherubini, Raffaella Castagna, il piccolo Youssef Marzouk e Paola Galli. Le parole di Frigerio, fin dal primo interrogatorio in ospedale, dove si era miracolosamente ripreso da ferite gravissime, sono state determinanti: “Per me è stato Olindo”, aveva detto fin da subito agli inquirenti.
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Frigerio è stato descritto dai giudici lucido e coerente nelle sue testimonianze: “Ha riconosciuto l’aggressore e ha spiegato di non aver parlato subito solo per via dello shock e dell’incredulità”.

Respinte le istanze della difesa di Rosa e Olindo
Respinte le ipotesi della difesa, secondo la quale quelle dichiarazioni erano frutto di suggestione: “Le risposte sono state fortemente condizionate da domande suggestive che hanno creato nella sua memoria un falso ricordo” – avevano sostenuto nel proprio memoriale chiedendo la revisione del processo. Ma i giudici bresciani hanno ribadito: “Il racconto di Frigerio è attendibile e è stato ripetuto in dibattimento senza esitazioni”.
Le confessioni ritrattate e le critiche della difesa
Altro nodo centrale, le confessioni di Olindo Romano e Rosa Bazzi, successivamente ritrattate. Secondo i legali, quelle dichiarazioni erano state raccolte in condizioni di vulnerabilità psicologica, con metodi definiti “suggestionabili“.
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L’ex magistrato Cuno Tarfusser ha parlato di “metodologie fortemente suggestionabili e contrarie alle garanzie del giusto processo”.
Ma i giudici non hanno rilevato alcuna irregolarità: “Le confessioni sono state registrate, acquisite regolarmente e non esiste alcuna prova di costrizione o manipolazione”. Anche la traccia di sangue appartenente a Valeria Cherubini rinvenuta sull’auto di Olindo è stata considerata un elemento solido e non contestabile.
Strage Erba: la posizione delle parti civili e il futuro giudiziario
Per la famiglia Castagna, la decisione di Cassazione è la naturale conclusione di un lungo percorso giudiziario: “La corte di Brescia ha analizzato correttamente l’istanza di revisione: non c’era nulla di nuovo, nulla di decisivo”, ha dichiarato l’avvocato di parte civile. I fratelli Castagna, più volte intervenuti nel dibattito pubblico, hanno continuato a ribadire la colpevolezza dei due coniugi.
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L’unica strada ancora percorribile per la difesa è ora quella europea. Lo ha detto chiaramente l’avvocato Fabio Schembri: “Valuteremo se ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo anche se ci attendevamo un annullamento da parte della Cassazione. Aspetteremo le motivazioni prima di decidere come procedere. La strada della giustizia europea è già stata intrapresa per la sentenza di merito: potremmo ripercorrerla anche per quanto riguarda la revisione”.
Conclusioni dei giudici: “Le interviste non sono prove”
Infine, la Corte si è espressa in maniera netta anche sulla natura delle interviste proposte che le istanze difensive presentavano come “nuove prove”. “Poiché una parte delle prove presentate sono rappresentate da interviste, la natura di documenti di tali interviste non vale a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale”. E aggiungono: “Il soggetto intervistato non ha l’obbligo di dire la verità e tende generalmente a compiacere l’intervistatore”.
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Nessuna apertura, quindi, per eventuali testimonianze raccolte da programmi televisivi o da inchieste giornalistiche. “Nessun presidio è previsto a tutela della genuinità delle risposte nelle interviste, al contrario delle audizioni giudiziarie”.
Il caso Erba, quindi, resta chiuso per la giustizia italiana. Ma il suo eco giudiziario potrebbe ora spostarsi sul piano internazionale.
I prossimi passi
Il caso della strage di Erba, a distanza ormai di quasi venti anni dai suoi drammatici fatti, resta uno degli episodi più dibattuti e controversi della cronaca nazionale. Olindo Romano, 63 anni, e Rosa Bazzi (61) condannati in via definitiva all’ergastolo restano in carcere. Di ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo si era già cominciato a parlare fin dal 2012 ed è l’ultima speranza per i due coniugi che vivono in due carceri diverse: lei a Bollate, lui a Opera.