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Saman, la colpa fu della famiglia. Sentenza pesantissima in appello per la ragazza pakistana uccisa: “Motivi futili e abbietti”

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Stefano Benzi

La Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha emesso sentenza della corte d’Appello sul caso Saman: quattro ergastoli e una condanna a 22 anni. Riconosciute le aggravanti di premeditazione e futili motivi. Una decisione che conferma la responsabilità dell’intera famiglia.

Una sentenza ancora più dura del primo grado, e in qualche modo esemplare sulla tristissima fine di Saman Abbas, la ragazza di origine pakistana che avrebbe voluto vivere come le sue connazionali italiane e che la sua famiglia ha ucciso in modo spietato.

Domenico Stigliano, presidente della Corte d’Assise di appello, legge la sentenza – Credits ANSA (qnm)

A quasi quattro anni dalla morte della ragazza il cui caso è ancora molto presente nella memoria della cronaca del nostro paese, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha stabilito l’ergastolo per i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, così come per i cugini Ikram Ijaz e Noman Ulhaq. A Danish Hasnain, lo zio della ragazza, già condannato in primo grado a 14 anni, sono stati invece inflitti 22 anni di reclusione.

Saman, motivi futili

La Corte ha riconosciuto le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, ribaltando le precedenti assoluzioni e accogliendo pienamente la ricostruzione dell’accusa.

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Un’aula gremita ha ascoltato in silenzio la lettura del dispositivo dopo tre ore di camera di consiglio. Poco prima, fuori dal tribunale, un gruppo di donne aveva esposto un cartello in urdu: “Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”. Un gesto simbolico che ha rappresentato la voce della società civile di fronte a un caso che ha profondamente colpito l’opinione pubblica.

Sentenza Saman: ergastolo per genitori e cugini

“La Corte d’Appello ha accolto la nostra tesi secondo la quale c’è un colpevole, ed è tutta la famiglia che ha in qualche modo preso parte all’omicidio coprendone le responsabilità in modo inaccettabile”.

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Con queste parole, pronunciate da uno dei magistrati si sintetizza l’esito del processo. Dopo le assoluzioni in primo grado per i cugini e una condanna più lieve per lo zio, la nuova sentenza segna una svolta: quattro ergastoli e una pena più pesante per Danish Hasnain, l’uomo che in un secondo momento, ma molto tardi e dopo enormi insistenze, aveva accettato di collaborare com gli inquirenti indicando finalmente il luogo dove il corpo di Saman è stato sepolto.

“Saman è stata assassinata per motivi abietti, in una dinamica di gruppo, con premeditazione e freddezza”, ha affermato la Corte nel proprio dispositivo. “L’intera famiglia ha agito con l’intento di punire la ragazza per la sua volontà di libertà”.

Alcuni presenti mostrano un cartello scritto in lingua urdu: “Se domani tocca a me voglio essere l’ultima” – Credits ANSA (qnm)

Il ruolo della Procura: “Un delitto inumano e barbaro”

Durante la requisitoria, la sostituta procuratrice generale Silvia Marzocchi aveva descritto il delitto come “una delle espressioni più brutali di e repressione familiare violenza familiare”.

Parole che sono state raccolte dal pubblico in silenzio e a testa bassa. Tra i presenti anche alcuni compagni di scuola della ragazza: “Saman Abbas è stata condannata a morte da chi avrebbe dovuto proteggerla – ha dichiarato il magistrato – la sua unica colpa era desiderare una vita autonoma, lontana dalle imposizioni culturali”.

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Secondo l’accusa, anche senza la testimonianza diretta del fratello minore della vittima, il quadro indiziario era già solido: video, testimonianze indirette e perizie hanno confermato la responsabilità collettiva.

I protagonisti del processo: comportamenti e reazioni

In aula, gli imputati si sono più volte accusati a vicenda. I genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen hanno pianto, negando però fino all’ultimo ogni proprio coinvolgimento. Lo zio Danish Hasnain ha dichiarato più volte di non essere l’esecutore materiale, nonostante le indicazioni fornite sul luogo del seppellimento: “Non ho ucciso io Saman”, avrebbe ripetuto Hasnain, secondo quanto riportato da fonti giudiziarie. I cugini, inizialmente assolti, sono rimasti a lungo fuori dal palazzo di giustizia, dopo aver lasciato l’aula.

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Anche il fratello minore di Saman, considerato il testimone chiave di tutta la vicenda, non ha preso parte alle ultime udienze… “Ma le sue dichiarazioni iniziali sono state fondamentali, senza le sue conferme forse sarebbe stata una sentenza meno evidente anche se il quadro della vicenda nella sua complessa tragicità era chiaro ed evidente” ha ribadito la procura.

Sentenza Saman: le aggravanti

Il vero punto chiave della sentenza è l’accoglimento delle aggravanti, un fattore che ha rappresentato il passaggio centrale nella nuova sentenza e la motivazione di una sentenza molto più dura rispetto a quelle del primo grado:  “L’omicidio è stato pianificato, preparato nei dettagli, eseguito con freddezza –  dicono i giudici – la presenza dei familiari con pale e attrezzi il giorno prima è elemento determinante per riconoscere la premeditazione”.

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E ancora… “I motivi che hanno spinto all’omicidio sono futili, abbietti, legati a un codice d’onore distorto” ha dichiarato ancora la pg Marzocchi – Saman è stata eliminata perché voleva vivere libera”.

Dopo circa tre ore di camera di consiglio, il collegio della Corte di assise di Appello di Bologna legge la sentenza – Credits ANSA (qnm)

La storia di Saman: dalla libertà al silenzio della morte

Saman Abbas era arrivata in Italia nel 2016. Nata a Mandi Bahauddin, in Pakistan, voleva una vita diversa. Sui social si faceva chiamare Italiangirl, sognava l’indipendenza, si opponeva al matrimonio combinato con un cugino in patria. Aveva molti amici qui, era considerata una ragazza brillate e intelligente che aveva colto il suo trasferimento in Italia come una opportunità di affermazione culturale e personale…

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“Era una ragazza con sogni comuni, ma coraggiosa nel rivendicarli – l’ha definita il procuratore Gaetano Paci in un ritratto emotivamente intensa – una ragazza mossa da una ribellione inconsapevole, simbolo di una battaglia troppo spesso solitaria”.

La notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2021, la sua voce si è spenta: “È stata strozzata e poi sepolta in un casolare a pochi metri da casa”, hanno ricostruito gli inquirenti. Il corpo fu ritrovato solo un anno e mezzo dopo, nel novembre 2022 quando alcuni dei responsabili – su tutti i genitori – erano irreperibili.

Il ritrovamento del corpo e gli arresti all’estero

A indicare il luogo fu proprio Danish, lo zio di Saman: “Lì, in una buca profonda tre metri”, spiegò agli inquirenti dove e come cercare il corpo. Lui era stato arrestato in Francia nel settembre 2021. Prima di lui era stato preso l’altro cugino Ikram Ijaz, anche lui in Francia.

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L’ultimo a essere individuato fu Noman Ulhaq, fermato in Spagna. I genitori furono invece arrestati in Pakistan: il padre Shabbar Abbas a fine 2022, la madre Nazia Shaheen nel maggio 2024.

“Mai prima di allora il Pakistan aveva accettato l’estradizione di propri cittadini verso l’Italia”, sottolinea la procura. Un precedente giudicato storico che dà ulteriore spessore alla sentenza.

Lo zio di Saman, Danish Hasnain, l’uomo che ha rivelato dove era sepolta la ragazza – Credits ANSA (qnm)

Sentenza Saman: un processo che lascia il segno

La sentenza della Corte d’Appello chiude un processo complesso, durato anni: “La giustizia ha riconosciuto la verità processuale: Saman è stata uccisa dalla sua famiglia – ha detto un legale di parte civile – mon ci sono più dubbi: è stata una esecuzione pianificata”.

Le motivazioni complete della sentenza saranno rese note ora entro 90 giorni. Intanto, la società civile guarda alla vicenda come a una ferita aperta.

Stefano Benzi

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